di Bruno Picozzi
Da tempo affermiamo che in questo parlamento datato 2008 non siedono i primi membri di una nuova classe dirigente progressista e riformista ma gli ultimi e più incapaci membri di quella vecchia politica tangentara, riformatrice ma conservatrice, moralista su sesso e droga ma spregiudicata su armi e capitale, autoprivilegiata ed autoreferenziale.
D’accordo con noi è il ministro Brunetta che dichiara in un’intervista apparsa sul Corriere della Sera: «Questo governo rappresenta la più grande coalizione riformatrice della storia repubblicana. Il vero erede della tradizione di centrosinistra. Forza Italia mette insieme tutte le anime riformiste del vecchio centrosinistra: noi socialisti lib-lab, i repubblicani di La Malfa, i liberali di Biondi, i socialdemocratici, i cattolici liberali. Insomma, il centrosinistra che ha governato il boom economico e poi il pentapartito che ha salvato il paese dall'inflazione ai tempi di Craxi e in seguito di Amato e Ciampi.
Dopo il diluvio di Tangentopoli, Berlusconi ha avuto la geniale intuizione di allearsi con il riformismo padano, che porta al federalismo fiscale, e con il riformismo nazionale della nuova destra di Fini (…). Di là ci sono la sinistra democristiana, le frange extraparlamentari e gli ex comunisti. Che sono sempre stati dalla parte opposta al riformismo: contro la NATO, contro l'Europa, contro lo Statuto dei lavoratori, contro il decreto di San Valentino, contro la politica dei redditi. (…) Non a caso, votano per noi i colletti blu e le partite IVA: l'Italia che lavora e quella che rischia. Votano per la sinistra i settori protetti, in particolare pezzi di pubblico impiego, e la rendita».
È un’analisi impietosa e realista, quella del ministro Brunetta, che ricompone i defunti partiti della Prima Repubblica in un’opera di restauro politico paragonabile allo ‘scuci e cuci’ ben noto agli architetti: prendi un pezzo da qui, mettilo lì, riempi bene con la malta e il gioco è fatto.
Ciò che distingue le dichiarazioni del ministro Brunetta dal nostro pensiero è l’entusiasmo (di grazia, cosa dovrebbe renderci entusiasti?) e l’uso ricorrente dell’aggetivo riformista che, opportunamente accostato a certi nomi e a certe azioni, sembra dare a questi ultimi una nuova faccia e una nuova veste. Ciò che è impresentabile e stantio si colora di bianco, rosso e verde e il popolo bue applaude contento.
Qualche aggettivo, una mano di vernice, ed ecco il rospo trasformato in principe.
Ora, prima di andare a ben guardare cosa vien fuori dalle parole di Brunetta e dai fatti di questi anni, poiché si abusa di parole quali riformista, progressista, conservatore e rivoluzionario, bisogna doverosamente calarsi nel vocabolario e fare chiarezza, grazie all’aiuto di wikipedia.Il progressismo è una visione o tendenza politica. Utilizzato per la prima volta nel tardo XIX secolo negli Stati Uniti, questo termine identifica coloro che sostengono che i diritti civili e sociali debbano essere promossi tramite
Fin qui wikipedia.
riforme progressive, anziché tramite una rivoluzione anarchica o socialista.
Si contrappone al conservatorismo, che propugna una pratica politica
conforme alla tradizione e ostile alle innovazioni, in particolare nell'ambito
etico ed economico.
Il riformismo è una metodologia da applicare alle iniziative politiche, con l'intento di favorire un'evoluzione degli ordinamenti politici e sociali mediante la teorizzazione e l'attuazione di riforme.
Il termine riformismo è in contrasto con quello di rivoluzione. Riformare si rifà
all'idea di "riorganizzare" o di "ridisegnare" attraverso l'utilizzo di metodi
democratici, in contrapposizione ai metodi autoritari spesso usati dai regimi
prodotti dalle rivoluzioni.
In origine il termine riformismo nacque per distinguere all'interno del movimento socialista coloro che sostenevano graduali riforme anziché la rivoluzione propugnata dai massimalisti. Per decenni poi il termine è stato sinonimo di socialdemocrazia, anche se solo nel corso della metà degli anni '80, si può dire che i socialdemocratici riformisti abbiano prevalso sui più radicali comunisti, nella lunga battaglia all'interno della sinistra europea. A questo punto essere riformisti ha significato più che altro proporre riforme graduali, di fronte alla sfida posta dai liberali e dai conservatori,
guidati da leader come Ronald Reagan e Margaret Thatcher, i quali si sono
proposti come sostenitori delle riforme più radicali, tanto che, di fatto, essi
sono conservatori solo nei valori, ma non certo nelle politiche pratiche.
Se ciò, ha inizialmente arroccato la sinistra riformista in difesa dello stato
sociale contro quella che veniva definita una controriforma, ben presto questa,
spinta da leader innovatori e centristi come Tony Blair e Gerhard Schröder, ha
sposato l'assunto secondo cui se si vuole conservare lo stato sociale lo si deve
riformare più o meno gradualmente.
In base a questi assunti, l'essere "riformisti" ha preso nuova linfa nel nuovo dibattito interno alla sinistra, a parti rovesciate, tanto che i radicali di oggi chiedono sempre riforme radicali, ma più che altro si pongono a difesa incondizionata dello stato sociale, che i riformisti credono di dover riformare. In questo senso il termine "riformista" continua ad avere senso all'interno della sinistra, meno che mai nel confronto tra destra e sinistra, visto che, spesso, i conservatori e i liberali spingono per riforme più radicali ma nel senso opposto da quelle proposte dalla sinistra radicale. Alcuni propongono perciò di usare i termine "riformatore" per la
destra e quello "riformista" per la sinistra, laddove la prima è più radicale e la seconda più moderata e graduale, in vista della conservazione dello stato sociale.
Ora, se Brunetta si dà del riformista, noi gli diamo del riformatore. Non è la stessa cosa, le parole sono importanti! Un riformista, abbiamo imparato da wikipedia, favorisce un'evoluzione degli ordinamenti politici e sociali mediante la teorizzazione e l'attuazione di riforme. Ma stiamo parlando di riforme che sostengano e rafforzino i diritti civili e sociali, che mirino a difendere lo stato sociale e i deboli. Se dimentichiamo questo piccolo particolare, chiunque è riformista e qualunque cosa è riforma: il dimezzamento delle pensioni, la privatizzazione della sanità, l’abolizione della scuola elementare, l’introduzione del burka obbligatorio in strada e della minigonna obbligatoria in TV…
Come può Brunetta accostare il liberismo selvaggio dei governi Berlusconi al riformismo? Forse che far fallire Alitalia o, in alternativa, scaricarne la cattiva gestione sul bilancio dello stato è un atto di riformismo?
Riformista fu forse Craxi con il suo taglio alla scala mobile o decreto di San Valentino, volto a combattere inflazione e deficit pubblico, che fu premiato dal referendum popolare, ma non furono certo riformisti Bossi e Fini con la legge sull’immigrazione, anche quella applaudita dai più. Riformista fu certo l’introduzione dell’8 per mille da parte del governo Craxi ma di certo non l’introduzione dei CIP6 da parte del governo Andreotti. Riformista fu l’impopolare norma del governo Berlusconi sul divieto di fumo nei locali pubblici, non l’indulto svuota-carceri e salva-Previti di Prodi.
Perché riformista non significa condivisibile, positivo, efficace, maggioritario, moderno… nulla di tutto ciò. Non chiunque faccia una riforma è riformista. I Talebani afghani avevano rovesciato il paese come un calzino ma nessuno si è mai sognato di chiamarli riformisti. Ronnie Reagan è passato alla storia come il simbolo dei liberisti conservatori, eppure di riforme ne ha fatte, fin troppe!
La parola riformismo porta nel suo significato la volontà di agire per promuovere, rafforzare e ampliare i diritti civili e sociali dell’intera popolazione, distribuendo la ricchezza, soddisfacendo i bisogni primari, sostenendo i deboli e rafforzando l’economia al servizio della società intera. Con riforme graduali, magari con qualche passetto indietro di tanto in tanto, come uno smistamento a centrocampo in attesa di verticalizzare sulle fasce, ma comunque a vantaggio della società intera. Mettere in libertà i detenuti non serve a reintegrarli nella società e dunque non promuove i diritti di nessuno, per questo in maggioranza son tornati in galera dopo un anno. Mettere i detenuti in condizione di lavorare e guadagnarsi da vivere onestamente sarebbe stato riformismo ma nessuno ci ha pensato.
Inoltre si vuo precisare che non basta un atto di riformismo per essere riformista. Alemanno da ministro promosse la prima Conferenza euro-mediterranea sulla Pesca e sull’Agricoltura, favorendo l’introduzione di nuove norme a difesa del settore. Ben fatto! Ma da sindaco di Roma la musica è cambiata, almeno fino ad oggi. Certo, non che faccia peggio di Rutelli e Veltroni, ma questo è un altro discorso e sarebbe lungo da affrontare…
Tornando alle parole di Brunetta, ecco quindi quale insegnamento possiamo trarne.
1- Il centrodestra al governo, se si esclude la Lega, è il vecchio pentapartito riveduto e corretto con un poco di “scuci e cuci”, De Mita e Amato fuori, Fini dentro.
2- L’aggettivo ‘riformista’ piace, fa audience, aumenta lo share, ma non è applicabile a tutto e a tutti. Sul riformismo padano, ad esempio, ci sarebbe da discutere. In quanto riformismo e in quanto padano.
Di sicuro partiamo dal presupposto che la decentralizzazione di quel brontosauro che è lo stato italiano è cosa buona e giusta, e se non fosse stato per l’incedere della Lega, partito trasversale dal neonazismo al comunismo, mai se ne sarebbe parlato in Italia. E siamo anche d’accordo che gli slogan elettorali, come al mercato, debbano chiedere 100 per ottenere 10. Ma fomentare separatismo e rivolte armate, soffiare sul fuoco del razzismo e della xenofobia, creare fior di clientele con il buco nero di Malpensa, chiedere a voce la riduzione della spesa per poi incassare senza pudore rimborsi milionari, tuonare contro Roma ladrona e poi votare il pozzo senza fondo che sarà il ponte sullo stretto di Messina, et cetera et cetera, tutto ciò sa di opportunismo in salsa populista. Se mai i durissimi Padani si accorgeranno di quel che la Lega mescola in parlamento, Borghezio e compagnia si ritroveranno verdi ben altro che le cravatte.
Ma Bossi afferma che, laddove le riforme non passino, il popolo farà la rivoluzione.
Ebbene, “il termine riformismo è in contrasto con quello di rivoluzione. Riformare si rifà all'idea di "riorganizzare" o di "ridisegnare" attraverso l'utilizzo di metodi democratici, in contrapposizione ai metodi autoritari spesso usati dai regimi prodotti dalle rivoluzioni.” Qualcuno dovrebbe far presente a Bossi l’esistenza di wikipedia…
E forse bisognerebbe anche farla conoscere a quell’anziano signore (ipse dixit) di nome Berlusconi, il quale si permette di affermare che il dialogo con l’opposizione è chiuso perché Veltroni è inesistente. Sia pur vero, Veltroni è inesistente e su questo, nostro malgrado, siamo d’accordo con Berlusconi. Ma quale dialogo il governo ha mai portato avanti con l’opposizione? Su nulla è stato permesso accordarsi perché tutte le leggi, leggine, norme e decreti fin qui votati sono passati a botta di maggioranze parlamentari blindate. Su nulla il pur inesistente Veltroni è stato chiamato a dire la sua. Su nulla la guardia svizzera Casini ha avuto opportunità di dire la sua, se mai avesse avuto qualcosa di diverso da dire. Di Pietro poi, ogni volta che parla gli si dà del giustizialista.
- Signor Presidente, posso andare al gabinetto?
- GIUSTIZIALISTA!!!
E che diamine…!!!
Insomma, questo governo Berlusconi e il riformismo sono lontani anni luce, come i due estremi della Via Lattea.
Si aggiunga che da anni che tentiamo di non confondere il Berlusconismo col fascismo, e difatti poco si somigliano, ma adesso davvero il miliardario Berlusconi sta riformando lo Stato con l’uso di metodi autoritari contro l’opposizione parlamentare, contro l’opposizione extraparlamentare e contro i movimenti territoriali, manganelli nella fattispecie. La piazza al momento viene ignorata ma in futuro chissà. E quando Amnesty al prossimo rapporto annuale metterà in difficoltà il nostro governo per Bolzaneto, Vicenza, Chiaiano e simili, che farà il nostro governo? Ne Espellerà i responsabili dandogli dei filocomunisti come Chavez ha espulso Human Rights Watch dandogli dei venduti agli Americani? Almeno Chavez, con metodi autoritari, combatte la povertà…
Il riformismo è ben altro.
Ma forse la verità è nella citazione da Rosalux su Comedonchisciotte:
"Una comunicazione può essere efficace e al tempo stesso infondata o fondata su presupporsi falsi.
Berlusconi ha convinto il 60% degli italiani di star facendo un ottimo lavoro. Ha fatto tagli alla scuola, e ha fatto credere di essere tornato alla buona vecchia scuola di una volta, ha tagliato fondi alla polizia, ma la gente è rasserenata dai soldatini. Ha la capacità di strutturare unità minime di pensiero ad elevatissimo grado di contagiosità."
Ecco, per quanto ci si possa sforzare a mettere i puntini sulle ‘i’, il gran comunicatore continuerà un milione di volte a definirsi riformista di sinistra e il popolo bue gli crederà, come ha creduto di andare in Iraq a liberare i poveri Iracheni oppressi dal feroce dittatore che viveva circondato da tonnellate di armi di distruzione di massa, mai trovate.
L'ottimo blog Progvolution in un articolo emotivo ma interessante afferma:
“La verità non esiste.
Esiste solo la percezione.
(…) Basta veramente solo la propaganda a creare la percezione positiva?
Davvero abbiamo coscienze così deboli e malleabili? “
Ebbene la vecchia classe dirigente, quella tangentara, moralista, conservatrice, un po’ troppo mafiosa e troppo poco abituata a salire su un tram al mattino, quella e non altra si è alleata con l’esperto in comunicazione pubblicitaria, il miliardario Berlusconi, e ha fatto della propaganda e delle nostre deboli coscienze la sua arma vincente.
Come fece Adolf Hitler ai suoi tempi. Propaganda, bandiere, feste, propaganda, discorsi fiume, propaganda, trasmissioni radio, lustrini, canzoni patriottiche, propaganda, bugie, propaganda, sfilate, propaganda, propaganda, propaganda...
La grande differenza è nel fatto che la Germania di Hitler si trasformò in cinque anni in una macchina efficientissima, in cui tutto (tranne il non essere d’accordo) funzionava alla perfezione, ogni meccanismo della pubblica amministrazione, ogni angolo del servizio pubblico, ogni passaggio burocratico, ogni singola pallottola...
L’Italia degli ultimi vent’anni è assai diversa.
Ancora agli inizi degli anni ’80 il Belpaese concorreva a livello internazionale in tutti i campi d’avanguardia, dagli aeroplani ai satelliti spaziali, dalla chimica all’architettura, dal turismo al cinema d’autore.
Nel 1980 la FIAT, che vendeva trattori apprezzatissimi in tutto il mondo, si inventò quel gioiello che fu la Panda e 3 anni dopo la Uno, migliore auto dell’anno. Nel 1985 partirono Lancia Thema e Alfa 164, per capirci.
I milioni di mine antiuomo che Saddam Hussein seminò nel Kurdistan iracheno e ai confini con l’Iran, il dittatore li acquistò dalla nostra incomparabile Valsella (http://en.wikipedia.org/wiki/Valmara_69), mica dai cattivissimi Americani!
Nel 1983 l’Olivetti di Carlo De Benedetti si permise di immettere sul mercato alcuni tra i primi modelli di personal computer, in concorrenza con il gigante IBM, diventando nel 1985 il secondo produttore al mondo di computer ed il primo produttore in Europa.
Oggi, passati 10 anni di Craxi e De Mita e 15 anni di Berlusconi e Prodi, Carlo De Benedetti trova la forza di affermare su Repubblica: “Con l'eccezione del nostro passato, se arrivasse uno tsunami e non ci fosse più l'Italia, nessuno se ne accorgerebbe".
Bruno Picozzi
22 settembre 2008
Riformismo, per quanto assurdo sia
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