di Bruno Picozzi
È apparso pochi giorni fa su Repubblica, un vero articolo di denuncia contro la corruzione che domina sovrana la politica di cosa… sorry!… di casa nostra. Tutt’altro che il solito raccontino cerchiobottista condito di qualche sembra che, quel tizio afferma, quel tale denuncia, quell’altro dice che non è vero, che son tutte strumentalizzazioni, attacchi personali, e il signor Presidente dichiara, e l’illustrissimo Vescovo tuona dal pulpito, fino a concludere che tutti vissero felici e contenti abbuffandosi come maiali alla mensa dei potenti.
E invece no, questa volta il Giornalista Attilio Bolzoni, che ringraziamo pubblicamente per averci messo la faccia, fa nomi e cognomi, cita episodi circostanziati, la sbatte in faccia a muso duro senza evitare con fine cortesia di dare pane al pane e vino al vino, come certi suoi colleghi sono usi a fare. Usi a evitare, ovviamente.
Si parla di Raffaele Lombardo, ex democristiano, allievo dell’indagato e condannato per mafia deputato UDC Calogero Mannino, ex senatore ed ex ministro democristiano.
Raffaele Lombardo, pluri-indagato egli stesso e prescritto per reati contro la pubblica amministrazione, europarlamentare con lo stesso UDC, conosciutissimo fondatore e leader del Movimento per l'Autonomia (MpA), alleato di Bossi (???) e del Popolo della Libertà, sponsor indefesso del sempreverde Pierferdinando Casini, UDC appunto.
Raffaele Lombardo, eletto presidente della provincia di Catania nel 2003 con il 64,9% delle preferenze. Nel novembre 2006 da una rilevazione de Il Sole 24 ore è risultato il Presidente di Provincia con il più alto indice di gradimento dei cittadini in Italia. Risultato confermato da una ricerca eseguita da Ekma Monitor nel dicembre 2007 su un campione nazionale di 180.000 intervistati, secondo cui Lombardo era primo nella classifica di presidenti di Province più apprezzati in Italia, con un gradimento pari al 63,1%.
Raffaele Lombardo, oggi Presidente della Regione Sicilia col 65% delle preferenze in sostituzione del famigerato Totò ‘vasa vasa’ Cuffaro, UDC, quello condannato per favoreggiamento alla mafia e porto di cannoli abusivo. Il giorno stesso dell’insediamento di Lombardo a Palazzo d'Orleans, un utente della rete, utilizzando eMule, scopre casualmente una cartella informatica contenente una sorta di database delle richieste di raccomandazione inviate al nuovo Presidente e ai suoi collaboratori dell'MpA.
Raffaele Lombardo sta già oscurando la fama del suo predecessore Cuffaro, afferma il Giornalista Attilio Bolzoni. “È un arrembaggio. Più fratelli e cugini e più figli. E più nipoti e più compari. Non c'è più soltanto Palermo (dove Cuffaro ha il suo quartiere generale) ma c'è anche Catania (dove il boss dei boss è Lombardo).”
Ancora Bolzoni: “Ogni assessore può avere 25 collaboratori fra segreteria particolare e segreteria tecnica, un terzo di loro arriva da fuori l'amministrazione. Così fan tutti. Pagando ciascuno degli 8 prescelti come dirigente 41.807 euro lordi più un'indennità di 7.747 euro e un'altra di 23.500. Come minimo, i fortunati che entrano in uno staff, portano a casa 70 mila euro. Gli uffici di gabinetto si trasformano in vere e proprie segreterie politiche.”
E giù i nomi di alcuni tra i fortunati che si portano a casa le ricche prebende: Piero Cammarata, primogenito di Diego, sindaco di Palermo; Giovanni Antinoro che era l'autista di Cuffaro; Domenico Di Carlo, segretario del braccio destro di Cuffaro, tal Saverio Romano; Vito Raso, amico di Cuffaro; Gianni Borrelli, ex candidato UDC, amico di Cuffaro e dell’assessore Antinoro; una Misuraca (parlamentare di Forza Italia) e uno Scoma (assessore di Lombardo), un Davola (ex autista di Gianfranco Micciché) e un Mineo (figlio di un deputato regionale); Rosanna Schifani, sorella di Renato, Presidente del Senato della Repubblica; Viviana Buscaglia, cugina del Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano.
A voler fare ironia verrebbe a mente Ombre Rosse e l’assalto alla diligenza. Ma forse più propriamente ci aggredisce il ricordo di zu Tano (Badalamenti) in quel magnifico film che è “I cento passi”, sulla vita e la morte del vero grande eroe Peppino Impastato, mica certi eroi stallieri che qualcuno pretende.
Zu Tano in fondo è una brava persona, fa favori a tutti, aiuta gli amici e gli amici degli amici. Un prestito, un posto di lavoro, una commessa statale, una pensione, un finanziamento, e i maiali si ingrassano alla mensa dei potenti.
E zu Raffaele fa uguale, almeno secondo ciò che viene scritto: favori, posti di lavoro, pensioni, finanziamenti, un occhio di riguardo, una mano tesa, un aiuto a tutti coloro che ne hanno bisogno. Chi non andrebbe a votare uno così? Il 65% di preferenze nasce da questo, dalla disponibilità ad aiutare, dal rispetto per l’amicizia, dall’interessamento per questo o quel problema, dalle clientele e dai favori, dai contributi distribuiti a pioggia tra gli amici degli amici. Vasamo le mani Zu Raffae’!
Che c’è di male?
In fondo così fan tutti… Alzi la mano chi non ha mai cercato un favore o un aiuto per saltare una fila, ottenere un documento, vedere riconosciuto un proprio diritto. Ecco la parola magica: diritto.
In uno stato di diritto, quel tipo di stato che i recenti governi hanno sempre magnificato a parole e mortificato nei fatti, la legge stabilisce chi ha diritto e chi no, facendo distinzione solo su base di merito e non di favore o conoscenza. Ma nello stato di eccezione, quello cui l’Italiano medio è oggi assuefatto, il legame personale con chi può, il potente, fa tutta la differenza del mondo.
La mafia, affinché sia chiaro l’argomento, null’altro è che una possibile organizzazione dello Stato dove l’essere compare, amico, fratello o cugino è tutto ciò che conta. Quello proposto dalla mafia è uno stato di eccezione in cui l’essere famiglia è l’unica vera discriminante del diritto. La mafia gestisce la società su base clanica, un capofamiglia con tutta la sua famiglia e il suo intorno di amici e portaborse contrapposto ad un’altra famiglia dove un altro capofamiglia gestisce un altro intorno di parenti, amici e portaborse.
Il capofamiglia che acquisisce il potere di distribuire appalti, ad esempio, li distribuisce nel proprio clan, tra quei parenti, amici e portaborse che lo riconoscono come capo e gli baciano le mani. L’altro capofamiglia acquisisce il potere di distribuire licenze commerciali e le distribuisce nel suo clan, tra i suoi parenti, i suoi amici e i suoi portaborse. E così via all’infinito.
Lo stato di diritto dà la licenza a chi ne è meritevole su base normativa, lo stato di eccezione la dà a chi è meritevole sul piano personale essendo compare, amico o amico dell’amico. Da sottolineare che di solito chi meriterebbe per legge non è l’amico dell’amico…
Per l’affermazione dello stato di diritto è morto Peppino Impastato che combatteva con piccoli mezzi e pochi amici lo sconfinato potere clanico di Tano Badalamenti, boss potente dalla modesta Cinisi fino in America. Per l’affermazione dello stato di diritto sono morti Falcone e Borsellino che attraverso la legge cercarono di spezzare il legame clanico che legava e lega le famiglie mafiose a certi compari e a certi amici di amici seduti su quelle poltrone da cui si muovono le leve di comando, fin dentro al parlamento di Roma e, secondo alcuni, fin dentro al governo.
Questi veri eroi e tanti altri come loro si sono battuti affinché lo Stato distribuisse ciò che è da distribuire ai meritevoli per legge: un posto di lavoro, una pensione, un appalto milionario, un incarico professionale, una parte da attrice nel polpettone televisivo, un posto da assessore o da segretario, una proprietà, una laurea, una vittoria, un risultato. In Sicilia queste cose da sempre si danno a chi merita per conoscenza personale, a chi ha baciato la mano giusta, a chi è parte della famiglia, all’amico dell’amico. La chiamano mafia, e se si contravviene a questa legge non scritta non si va in galera, si muore.
Lombardo oggi, Cuffaro prima di lui, Mannino prima di Cuffaro e tanti altri ancora insieme a costoro hanno imparato il sistema mafioso e l’hanno portato nello stato, nell’organizzazione della regione Sicilia a statuto speciale, istituzionalizzando metodi antichi di cui tutti nella società siciliana conoscono il funzionamento. Abolito di fatto lo stato di diritto, introdotto di fatto lo stato di eccezione, venghino signori e signore a chiedere favori e a domandare prebende e sarete accontentati, tanto pagano Roma e l’Europa. E le preferenze in sede di elezioni aumentano.
Lo stesso sistema, per quanto ne sappiamo, vige da sempre in Campania, dove uomini di stato come Gava, De Mita, Mancino, Cirino Pomicino, Vito e Scotti, solo per fare pochi nomi, hanno lavorato per anni alla stessa maniera di Lombardo, saccheggiando la Cassa per il Mezzogiorno, i finanziamenti straordinari del dopo-terremoto, i contributi comunitari, spartendo torte e distribuendo privilegi e posti di lavoro in cambio di centinaia di migliaia di voti. Non è ancora provato che Re Bassolino abbia fatto altrettanto ma la gente parla, e se ne dicono di cose…
Puglia, Calabria e Basilicata ugualmente nulla invidiano alla terra siciliana in quanto a spartizioni, prepotenze, nepotismi e favoritismi. Chi vi abita ci darà ragione.
Le chiamano mafie e le combattono con la legge, con quel diritto che dovrebbe essere alla base dell’idea di stato. Le combattono senza successo perché lo Stato, come detto, non vende una laurea, la conferisce a chi ne è meritevole. La mafia la concede a chi sa baciare le mani, attività di gran lunga più semplice che studiare anni per meritarsela.
Possiamo con ovvietà affermare che in un libero mercato l’offerta mafiosa è di gran lunga più conveniente.
Ma l’errore è fermare il pensiero e i ricordi alle mafie meridionali e non guardare con occhio attento quel che succede a Roma, dove il nepotismo sembra sia stato inventato, il clientelismo ha sempre avuto casa e il diritto, che pure vi è nato, è sempre stato un’opinione di qualcuno contrapposta all’andazzo generale.
Roma è per antonomasia il luogo dove la conoscenza della persona giusta è sempre stata la porta aperta su qualsiasi strada. Lo abbiamo sempre saputo e affermato, ma un po’ sottovoce perché, in fondo, era leggermente illegale. Anche Alberto Sordi abbassava la voce quando nei panni del ‘borghese piccolo piccolo’, funzionario arrogante e spaccone, doveva chiedere al superiore un’attenzione per il suo figliolo un po’ babbeo. Erano altri tempi.
E chi se lo aspettava che sarebbero stati gli Italiani del nord, i Milanesi laboriosi, i durissimi Padani, i Brambilla e i Meneghin, con quelle facce quasi alpine e scavate da tanta operosità, a venire giù e insegnarci come fare della clientela la regola dello stato?
Cuffaro e Lombardo non sono mine vaganti nell’oceano trasparente della correttezza politica. Essi sono carte vincenti nel mare dell’ordinarietà, dove per navigare basta essere un po’ spregiudicati e le preferenze fioccano.
E per capire quali porti sono il giusto approdo per certi personaggi dalla lingua facile e dalla mano lesta, che della famiglia mafiosa fanno virtù e dello stato di diritto fanno scempio, basta leggere un poco di cronache parlamentari e tirare somme facili, tipo 2+2.
Chi spinge per la realizzazione di grandi opere costosissime alle quali esistono validissime soluzioni alternative?
Chi vota per depenalizzare i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione?
Chi lavora contro il funzionamento della macchina giudiziaria e si rallegra delle prescrizioni che non sono assoluzioni?
Chi giustifica le proprie telefonate di raccomandazione, una volta divenute pubbliche, come atti di normale amministrazione?
Chi alle ultime elezioni candidò amici degli amici quali Speciale, De Gregorio e Ciarrapico?
Chi alle prossime elezioni europee vuole eliminare le preferenze per far eleggere dal popolo bue altri Speciale, altri De Gregorio e altri Ciarrapico?
Chi, grazie a fior di clientele e alla sua spregiudicatezza, può vantare un gradimento politico intorno al 60%?
Il metodo mafioso è stato istituzionalizzato e normalizzato grazie alla spregiudicatezza politica di certi personaggi provenienti da oltrepo, appoggiati con forza da tutti coloro che si riconoscono nel centro politico, a partire da certi settori di AN e Lega per finire ben oltre la Margherita o quel che ne resta. Ciò che la balena bianca di Gava e Andreotti non poté, poté questa nuova generazione di balenotteri colorati. Come risultato, le preferenze fioccano, il gradimento sale e l’Italia affonda.
La sinistra moderata, quella pseudo-socialdemocrazia del terzo millennio, insomma tutta quella roba che si suppone cammini dietro Veltroni e che di sinistra ha veramente poco, si sta adeguando con malcelata ipocrisia all’andazzo corrente, accettando senza batter ciglio che l’Italiano medio abbia la possibilità di poter ottenere un risultato avendo baciato una mano o anche due.
A destra, a sinistra e alla base, là dove osano i sindacati, in generale è un voltar la faccia e non guardare perché chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Nel frattempo l’Italia che stenta dobbiamo tirarla avanti come un’auto malandata: a spinta, anzi, a spintarelle. Così è se vi pare, e la lotta da oggi sarà non più contro la corruzione ma contro chi la corruzione non la vuole. Di Pietro e i movimenti siano avvertiti. Non più all’abuso si cercherà di sostituire la norma ma alla norma si sostituirà l’abuso.
Al braccio teso di qualche nostalgico che ancora confonde la lana con la seta (ammesso che una seta ci sia) e al pugno chiuso di tutti quegli orfani che non sanno rassegnarsi alla morte politica del marxismo, i balenotteri del Popolo e di quell’altro popolo opporranno il braccio piegato a mo’ di ombrello. Sarà questo infine il gesto ultimo che ci si rivolgerà dalle piazze, tra lo sventolio di bandiere bianche, rosse, nere e azzurre, chiamandoci a raccolta per osannare l’agitarsi di nuove mani da baciare.
Tutti ci appresteremo a imparare che la stagione dei Lombardo e dei Cuffaro segnò la svolta nella storia d’Italia verso una politica finalmente chiara nei suoi obiettivi e finalmente libera da volgari strumentalizzazioni. E ci appresteremo ansanti a cercare il nome del più vicino zu Raffaele che vive a soli cento passi da noi, che felici visiteremo per onorare e rispettare come un padre. L’offerta della sua mano da baciare sarà il cambiamento che arriva nella nostra vita e da quel momento tutto sarà possibile. Anche noi, pecorelle smarrite e ritrovate, potremo finalmente abbuffarci alla mensa dei potenti.
Forse memore di una grande stagione di satira, la nuova dirigenza del Paese diffonderà lo slogan che finalmente rappresenterà i nostri bisogni ed il nostro credo di Italiani. A voce alta: “Cchiù pilu pi tutti!!”
E il programma politico di questa nuova santa alleanza per il bene della nazione sarà infine chiaro a tutti coloro che avranno orecchie per intendere: “Mi voti? Avrai un lavoro e una casa. Non mi voti? Ntû culu a ttia e a tutta ‘a famiggja!”
29 settembre 2008
A cento passi da zu Raffaele
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